I sardi sono quel curioso assembramento di persone che si autodefiniscono popolo e che difendono orgogliosamente la propria identità ormai praticamente ridotta ai minimi termini.
L’ultimo scatto d’orgoglio (in ordine di tempo) è quello legato alla messa in onda dello speciale di Ulisse di Alberto Angela dedicato alla Sardegna, l’isola che c’è.
Una trasmissione di qualche ora che ha condensato con inevitabile sintesi il senso di una isola complessa, antica, ricca di tradizioni, di ambiente, ricca di storia e di storie, raccontate con ineccepibile professionalità da un divulgatore eccellente qual è Angela.
La messa in onda ha scatenato la tradizionale alluvione di commenti, soprattutto quelli negativi di chi si è sentito offeso da una narrazione che non ha reso giustizia alla presunta immensità della Sardegna, tralasciando quelli irritati dall’esclusione di questo o quel punto di interesse, quel territorio, quella persona, quel fondamentale aspetto della straordinaria unicità dell’isola al centro del mediterraneo.
Provo a esprimere il mio pensiero, se magari può aggiungere valore alla conversazione generale.
Partiamo dallo svelare un segreto: la narrazione della Sardegna che tanto affascina i cultori della identità e unicità esiste ed è praticata ogni giorno da centinaia di persone in ogni ambito lavorativo, dalle guide ai social media manager, da chi fa accoglienza negli hotel e a chi scrive progetti, da chi fa formazione a chi fa impresa.
Certo, non la vedete spesso nelle istituzioni, nascosta dalla vacua dronizzazione e dalle campagne talvolta incomprensibili e le restanti volte inutili.
Però esiste ed ha (vi posso assicurare) un coefficiente di conversione nettamente superiore a qualunque campagna istituzionale passata e recente.
È il tessuto delle persone che fanno comunicazione culturale e turistica nonostante tutto e anche nonostante taluni, quelli che insieme agli altri ogni giorno zappano il terreno fertilizzandolo con le loro parole, senza nessun finanziamento ma con grande passione ed efficacia.
Certo, in un mondo ideale sarebbe bello avere un Piano Strategico del Turismo da seguire e costruirci insieme le azioni, magari revisionandolo insieme e creando degli organismi come le DMO per governare insieme il turismo.
Ah, scusate, c’è (potete scaricarlo qui), ci sono, solo che pur essendo leggi non vengono tenute granché in considerazione da chi governa e non vengono difese da chi è all’opposizione, non sia mai che la questione assuma toni disdicevoli.
Ecco, cari conterranei, il problema non è la narrazione imperfetta o le strategie nebulose: il problema è di maturità sociale, cioè di decidere cosa vogliamo essere da grandi.
Attori del nostro destino scegliendo un modello di sviluppo che abbia un futuro facendoci crescere insieme senza distruggere ciò che ci è stato donato dal destino o invece vivere in un presepe immobile senza visione guardandolo distruggersi per diventare un passato indecoroso se non vergognoso.
Perché oggi trovo curiosa la discussione sulla narrazione della cultura e del turismo della Sardegna quando il nostro futuro (anche turistico) è appeso a questioni vitali come energia, ambiente, sostenibilità economica e sociale che vengono liquidate come questioni delle quali si deve occupare la politica.
Ascoltare i soloni del turismo e della cultura come se una soluzione unica, un prodotto unico, un linguaggio unico e una narrazione unica fossero le soluzioni magiche.
In un mondo così complicato e frastagliato è l’avere gli strumenti per governare il momento con contezza che permette di essere adeguati e competitivi.
E tutto nasce dal prodotto, da come è organizzato, proposto, venduto, gestito, portato alla fruizione.
Comunicarlo serve ma senza consistenza siamo castelli di sabbia: finissima, bianchissima, soffice e bellissima ma destinati alla lunga a crollare sotto i colpi della consistenza degli altri sui terreni dell’accessibilità, dei servizi e non ultimo anche del prezzo.
Una regione che continua a parlare di questioni come il modello Costa Smeralda, il Cagliaricentrismo, le zone interne come riserve indiane, i trasporti aerei confondendo continuità e accessibilità e della corretta epressione di Porcetto o Seada quando non riusciamo neanche a conoscere con certezza quanti turisti entrano e soggiornano in Sardegna, non siamo in grado di creare un calendario unico degli eventi, che non progettiamo uno sviluppo turistico e culturale sulla base di vocazioni, mercati, strategie ma solo come collocamento di metri cubi o mode di dubbio valore.
Ecco, questo dovrebbe essere argomento di discussione, non il perché la narrazione di Ulisse sia stata adeguata o meno.
Ragionare sul nostro futuro partendo dalle persone, dalle loro competenze, dal loro valore, aggiungendo la propria competenza e passione all’entità collettiva che a un certo punto potremo anche chiamare popolo, quando condivideranno una visione collettiva e non somma di egoismi più o meno dichiarati.
Ragionare sul nostro futuro trovando una sintesi della nostra storia anche nella narrazione avendo ben presente che quello che per noi sembra fondamentale non lo sarà quasi sicuramente per i turisti che a malapena conoscono dov’è la microscopica Sardegna.
Ragionare sulla nostra politica perché certi compromessi stratificati negli anni mostrano il loro imbarazzante limite, soprattutto nella terrificante alternanza mansueta tra maggioranza e opposizione a tutti i livelli che distrugge più dell’inquinamento del petrolchimico.
Ragionare su noi stessi, su quanto stiamo donando alla causa generale e non invece seguendo la strada del proprio ego.
Ecco, essere popolo non significa essere entità somma sterile di individui impegnati in un campionato di ego a squadre.
Provarci, almeno. Perché la colpa sarà anche e soprattutto nostra.